sabato 4 febbraio 2012

la tristezza negli oggetti.

Ho provato a far finta di niente e a nascondermelo, a tirare avanti come tutti i giorni, ma tra le sette e le otto di un sabato sera di Febbraio può diventare un problema impellente guardare la verità in faccia: la Lucertola è di nuovo nella mia testa.
Lo so per certo perché, silenziosamente, ha cominciato a scodinzolare, facendo tabula rasa dei miei programmi: non riesco a scrivere una riga, una, senza sentire che sto facendo un errore, che devo cancellare tutto, rifletterci meglio e ricominciare da capo; si tratta solo di scegliere meglio le parole, riformulare (o forse no). E così non procedo e i miei progetti rimangono lì come foglie secche ad invecchiarsi e ammuffire mentre raccolgo dati, compilo liste, eseguo veloci calcoli mentali, della cui inutilità è inutile stare a discutere.
La caratteristica più evidente dell'immondo fantasmatico rettile che si diverte alle mie spalle è la sua capacità di mostrarmi come enigmi da svelare gli oggetti più banali. E' così che si rimane incastrati senza saper muovere un passo. Nel senso che proprio mi chiedo: Come si muove un passo?
E' allora che le piccole bruttezze della quotidianità diventano faraglioni minacciosi sul fondo dell'abisso, e il terreno è sdruccioloso, e in fondo so che voglio cadere, ma non posso: ho degli obiettivi, delle prove da superare, delle promesse da mantenere e non posso mandare tutto a puttane per un capriccio. Ma non è solo un capriccio, è un istinto, e per quanto abbia fatto della repressione un'arte estremamente raffinata, è difficile trovare sempre nuove esche da masticare a vuoto.
Il libro che sfoglio, la sua rilegatura lenta, la copertina blu, la scritta oro sul dorso. Chi ha fatto queste cose? Di chi era il disegno che ha seguito? Come si sentiva mentre cuciva le pagine?
Questa matita dal nome scrostato, chi l'ha stretta in mano prima di me? Per farci cosa? Una volta sapevo disegnare, dettaglio irrilevante. E se infilassi la punta in una pupilla?
Poi un pupazzo senza testa vicino ai secchioni. Le bucce di mandarino accanto a un muretto (chi? con chi?), la luce di mezzogiorno. La scritta bianca su un cartello blu (chi ha tracciato quei segni, sapeva cosa stava facendo?). E non riesco proprio a non lasciarmi prendere dalla tristezza di questi oggetti che sopravvivono alle mani che li producono, che sopravvivono, senza coscienza, freddi, pesanti, stabili. O seviziati, abusati e gettati via: perché nessuno li ha più amati? Perché non hanno trovato qualcuno che avesse bisogno di loro?
Ho la testa pesante e non seguo i discorsi, non vedo gli occhi di chi ho davanti. Le parole che mi dicono si spezzettano in fonemi senza senso e ho la testa troppo pesante per tenerla dritta.
So che l'unica soluzione sarebbe una notte sulla Terra, ma nelle mie condizioni come potrei mai permettermela?
Il difetto di un certo spirito è che, se non prende consapevolezza della pericolosità leggera della propria lama, può facilmente trasformarsi in meschinità. E noi questo vogliamo evitarlo.

1 commento:

karincomeinunospecchio ha detto...

sembra la sceneggiatura di un film ambientato nella testa di uno pieno di manie. adoro.