domenica 2 maggio 2010

I miei continui sbalzi d'umore cominciano a rendermi la vita difficile.
Difficile rapportarsi con gli altri quando da un momento all'altro il tuo sorriso si trasforma in smorfia di dolore, difficile rapportarsi con se stessi quando da un momento all'altro una tiepida sensazione di serenità si trasforma in noia e poi in disgusto e poi in ribrezzo e poi in totale abbandono al panico o all'ira. Ad ogni istante incontro un bivio, non scelgo e cado, trascinata tra le conseguenze di una non-decisione che in un momento di insana riflessione giudico essere il male minore. Cerco palliativi, mi consumo, mi decostruisco pezzo a pezzo, e sto da punto a capo. Ma non è un problema, non è importante imparare, se questo può rendere la vita meno noiosa e più interessante.

Il problema arriva quando cominci a dubitare e a revisionare più o meno tutto ciò che fai.
Parcheggio, chiudo la macchina, faccio dua passi, mi dimentico di averla chiusa, torno indietro e controllo - ENTRAMBE LE PORTIERE . Mi allontano di nuovo, dopo cento metri mi chiedo, Ma l'ho chiusa la macchina?, e ovviamente mi sono già dimenticata di averla chiusa nonchè ricontrollata, tuttavia la pigrizia ha la meglio e mi allontano agitata da una lieve angoscia di tornare e trovarla svuotata dei suoi preziosi contenuti (autoradio, sigarette di riserva, un mare di vestiti e scarpe). C'è questo problema di fondo, che è la totale sfiducia in sè stessi, che mischiato con altri problemi (tipo miopia, noia, gastrite, emicrania, lenti a contatto che si appannano nei momenti meno opportuni) può portare a risultati disastrosi.
Come l'altra sera: monto in macchina, mi avvio verso la casa di due miei amici e decido che, guarda un po', non mi va di fare la solita strada, e cambio, Tanto - oh, povera illusa - ci sono le indicazioni. E' così che, saltando un po' di passaggi inutili, 5 minuti dopo mi ritrovo sull'autostrada mentre sudo freddo e mi immagino, Uh che bello, un bel venerdì sera a Firenze, così, tanto per cambiare. E tutti pensano che io sia praticamente la persona più vanitosa del mondo considerato che di norma mando messaggi del tipo "mi vesto e arrivo, massimo un quarto d'ora", salvo poi presentarmi un'ora e mezza dopo con il fiato corto, sudata, sfatta e stressata. Il fatto è che prima di uscire controllo all'incirca un miliardo di volte se "ho preso tutto". E per "ho preso tutto" intendo un particolare tipo di tutto che non include solo gli oggetti necessari e sufficienti ai bisogni primari di poche ore fuori casa (che ne so: cellulare, matita, burro di cacao, chiavi di casa, chiavi della macchina, sigarette, accendino e proprio ma proprio al limite fazzoletti). NO! Per "ho preso tutto" intendo proprio Tutto-ciò-che-può-essere-utile-in-caso-scoppi-una-guerra-oppure-giunga-l'Apocalisse. Il fatto è che mi conosco. Non ce la faccio ad andare in giro impreparata. La cosa che non considero mai è che, ogni volta che mi chiudo la porta della mia umile dimora alle spalle, le cose cominciano a prendere una piega assolutamente diversa da quella che avevo prospettato mentre mi preparavo per uscire. E' così che mi capita di trovarmi, che ne so, in sontuose dimore vestita di stracci barbonici, o in centri sociali con le ballerine. Che sciocca. Ultimamente sto ovviando a questa mia incapacità calcolativa, dettata dalle necessità esistenziali del Caso (che io, d'altronde, non faccio niente per fermare, ma ANZI), portandomi appresso, quando esco, un paio di scarpe di ricambio e anche, alle volte, un paio di pantoloni o una maglietta in caso venga assalita da un velociraptor che potrebbe stracciarmi e infangarmi quella che indosso. No, lo so, lo so, penserete che tutto questo non ha senso. Ma questo è precisamente IL VERO MOTIVO per cui ogni volta che io ho un appuntamento con voi arrivo tardissimo. Scusatemi.
Un altro grave problema è la paranoia.
Io faccio di tutto per non cadere nel baratro della paranoia, ma pensate voi alla seguente scena:
siete, per tipo la prima volta nella vostra misera vita, in un parco, con i vostri amici, del cibo, dell'alcol, e una chitarra. State bene, tira una leggera brezzolina che vi scompiglia i capelli e continuate a sparare cazzate e ridere. Ogni tanto salta un qualche strano animaletto mai visto appartenente alle piantagioni di grano del Midwest e tirate un urlo. Un urlo di quelli di terrore. Quando ad un certo punto si avvicina, con camminata poco sicura, un tipo negro dalle fattezze di un bianco e voi pensate "magari è solo sporco!". Parla una lingua incomprensibile e ha un tatuaggio da carcerato sull'avambraccio destro con scritto "CULAI". Ogni tanto il suo telefono squilla e urla "PCOONTOO E' NICOLAAH" e tiene gli occhi mezzi chiusi, così che voi non possiate vedere le pupille. Ci costringe a cantare tutti insieme allegramente una canzone chiamata Cazzinga, quando il povero chitarrista designato si ferma urla "ARMONIA ARMONIA" finchè non ricomincia a suonare, e noi battiamo le mani, con sguardo un po' sconvolto. Poi inizia a raccontare la storia della sua vita (di cui ovviamente non ho capito nulla) e tira fuori un sacchetto d'erba. Mentre giriamo queste due canne piovute dal cielo (palesemente un segno del destino) arrivano due brutti ceffi e cominciano a litigare. Un tipo molto strano, un cadavere rinseccolito con un codino bianco e gli occhiali specchiati vuole a tutti i costi la chitarra per suonare un blues. Ci inquietiamo un po' tutti, un altro tipo negro è piantato saldamente sulle sue gambe che non ricordo essere molto torninte, ma comnque in una posizione inquietante, ascolta attentamente e costruisce, con mio sommo sommissimo e visibilissimo turbamento, delle frasi ipotetiche perfette.
"Sh, zitti regà, ci capisce, ha palesemente un'istruzione superiore"
"Forse è armato..."
"Anche noi siamo armati!", dico brandendo una forchetta incrostata di insalata di riso piena di roba a me non precisamente nota e maionese (da cui ho scansato con precisione chirurgica tutti i pezzetti di wrustel).

Ma l'agognata agnizione arriva, mentre io ancora ridacchio rasentando il soffocamento, e i tre tipi strambi (e negri con le fattezze di bianchi) scompaiono come erano sopraggiunti. Tranne il tipo con gli occhiali specchiati che adesca coppiette con figli in carrozzina mostrandogli in ogni dettaglio la sua giacca, con nostro sommo sbigottimento.

Tra l'altro la domenica è portatrice, come sempre, di brutti pensieri e una sensazione fisica di abbandono che mi fa venire voglia di mangiare tutto ciò che è presente nel frigo/credenza fino a ficcarmi due dita in gola ed espellere l'esofago tutto.
Oggi, ad esempio, mi è venuto in mente un flashback.
Quando frequentavo con poco entusiasmo e molta psicopatia la seconda media organizzarono una specie di gara di poesie, io arrivai seconda. Nella poesia che arrivò prima c'era un verso che recitava:
"Qando la vita si accortoccia come una foglia secca"
(il resto è avvolto nell'ombra).
Non riuscii a perdonarmi MAI di essere me e non aver avuto quell'idea, o una cosa simile. è difficile da mettere per iscritto, ma ho delle strane colpe originarie che non riesco ad espiare (tipo l'essere me e non poter essere altro) che continuano a perseguitarmi tra manie conpulsive e una totale sfiducia nel genere umano.

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