domenica 20 giugno 2010

Dove ti ho lasciata, Spensieratezza? Il ricordo del tuo sorriso mi spezza.

La mia vita è noiosissima. Davvero noiosissima.
Sono in uno di quei classici periodi in cui vorrei che tutte le stronzate che persone internamente miserrime e senza un cazzo a cui pensare dicono di me fossero vere, almeno mi divertirei un po'.
E invece niente, continuo ad arrancare lungo questo magro percorso che non produce insegnamenti chiamato esistenza, e la forza di inerzia mi conduce. Quanto meno vivo ancora nel rispetto della mia totale incapacità di prendere decisioni e fare scelte: se vedi un bivio davanti a te, vacci a sbattere la testa, sempre. Non capisco proprio perchè io sia convinta che questo modo di agire (abbandonarsi cioè alle conseguenze di una concatenazione di cause di cui io non pretendo minimamente di assumere il controllo) corrisponda a "vivere davvero". Qual'è la differenza tra il famosissimo "vivere davvero" e il "sopravviversi"? Alcuni dicono risieda nella nostra capacità di prendere scelte consapevoli. Ebbene, io mi ribello a questa sciocca e pretenziosa istanza razionalizzante e parteggio nettamente per il Non-detto e l'Impensabile. Quanta stupida ideologia risiede in quella che in realtà è l'originaria decisione di non decidere.
Il fatto è che è una questione di possibilità. Perchè mai dovrei prendere una decisione e scartare tutte le altre possibilità che mi si presentano davanti? E se poi me ne pento? No, no, non scambiate questo per semplice vigliaccheria. E' qualcosa di molto più orribile: è superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia. Tutti in un colpo solo. Il problema è che voglio tutto e lo voglio subito e non posso permettermi di perdere un istante di tutto quello che potrei abbracciare dell'accadere. E la cosa che mi rende una persona ancora più orribile (ai Vostri occhi, credo, perchè io in realtà mi valuto come ottima-fantastica) è il fatto che io ammetta tutto questo con la massima sincerità.
Vivere in questo modo porta a ritrovarsi alle proprie spalle una ricca anedottistica di vari episodi insensati e surreali, che alimentano spoporzionatamente il mio egocentrismo. Potrei scriverli ora, ma comporterebbe una fatica che oggi non mi sento di affrontare, e sarebbe l'ennesima riprova di possedere un ego sproporzionato. No, seriamente, non è qualcosa che mi senta di raccomandare, ma è sicuramente un modo per vivere.
L'unica pecca in tutto ciò è che, come tutti voi, anche io ho ricevuto un'onanistica educazione morale, che di tanto in tanto (sempre), mi porta a provare lancinanti sensi di colpa. Proprio lì, dietro il ginocchio. Ed è così che uno si sveglia una mattina all'alba (alba che per circa due anni ho visto solo da ubriaca/fatta) e decide che è giunta l'ora di perdere un paio di diottriche su montagne di libri scritti in carattere Times New Roman, 8, ingobbendosi sempre più sotto il peso della cultura.
Vivo sempre più in un mondo parallelo fatto di fenomeni e noumeni, appercezioni trascendentali e massime dell'intelletto. E mi piace.
Ma capitano quei giorni in cui realizzi che forse stai perdendo lungo la via molte cose, e poco importa sentenziare tra sè che non conta niente, che la mia realizzazione personale è più importante. Uscire di casa, di tanto in tanto, ed accorgersi che la vita ha continuato a scorrere senza di te, che non sei assolutamente necessario per nessuno, che puoi continuare a vivere nelle tue torri d'avorio di filosofia e bei libri e belle idee, ma gli eventi cruenti dell'Oggi sono giò passati, e tu neanche te ne sei accorto.
Il massimo che posso fare è svegliarmi la mattina, molto presto, farmi prendere per mano da strane missioni insensate - inventate là per là - che mi conducono su un autobus a caso, e girare così, per motivazioni apparenti, attraverso la città per ore e ore, fingendo di avere uno scopo, scopo che non si raggiungerà mai, incastrato, ed incastrata io, tra finti orari da rispettare, affogando nell'inettitudine e nella frustrazione. Credo che sia così che si scivola nell'oscuro mondo della follia. Credo che sia così che si buttano mattinante intere facendo avanti e indietro sullo stesso autobus, con sommo sbigottimento dell'autotista (avanti e indietro per 4 volte - !!! - sulla stessa via, lo so, faccio schifo). Il fatto è che il rollio pacato dell'autobus (e l'aria condizionata da circolo polare artico) risvegliano le mie facoltà intellettive portandomi a formulare pensieri di una profondità inaudita, pensieri che ovviamente ora non ricordo, e che comunque non vi direi perchè non penso li meritiate.
Il massimo che posso fare è svegliarmi presto la mattina, molto presto, e rimanere a fissare la luce del giorno che sorge che filtra tra gli spiragli delle serrande. Rimanere così immobili, finchè la luce non gira dall'altro lato del palazzo, illudendosi di aver deciso, per una mattina, di chiudere tutte le persone della mia vita fuori dalla stanza, dietro la porta. Illudersi che così facendo si possa per un attimo giacere in un agolo remoto della mente (è una stanza bianca, così grande che non ha contorni, un telefono squilla ma nessuno risponde) privo del basso continuo che è quella Malinconia che sta sempre lì, in sordina la maggior parte delle volte, spesso frastornante con quell'urlo che reclama attenzione e che copre ogni pensiero nella testa. Illudersi di poter chiudere tutti fuori dalla porta, ma alzarsi poco dopo e andare a leggere Kant, per l'improvvisa presa di coscienza che sì, puoi chiudere i tuoi fantasmi fuori dalla stanza, ma la memoria no.
I veri fantasmi che dovrei riuscire a far dissolvere nella luce del mattino sono le possibilità irrealizzate, ma continuo a rivevere scene che poi amplio con vuoti "whatif" e il mio autocontrollo va definitivamente a puttane.
Quando arriva è sempre tardi e non è mai abbastanza, quando non arriva la sua assenza è lancinante.

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