domenica 25 novembre 2012

Sera. Fuori dal locale più brutto e più amato di Roma, birra e chiacchiere. 
Farsi coraggio, entrare e scoprire che non c'è bisogno di nuotare e fendere la folla per arrivare in prima fila, perché dalla mia posizione laterale a circa metà strada tra il palco e il bagno ho una visuale quasi perfetta: in questa città sono tutti così bassi, che fortuna. Il mio cervello si sta comportando meglio del solito, e nonostante sia disgustata da quasi tutte le persone che mi circondano, riesco a godermi i 5 centimetri di vuoto che mi isolano da ogni lato dal contatto con oggetti estranei. In certe situazioni 5 centimetri possono fare veramente la differenza, e questa cintura d'aria mi consente di concentrarmi sulla musica, sulle luci, su dove sono e cosa sto facendo e a cosa sto pensando e va tutto bene.
C'è un gruppetto davanti a me: due coppie e credo un quinto incomodo. Le ragazze sono sedute su un divanetto mentre i ragazzi tengono il tempo e cercano di coinvolgerle segnando con la testa e con le dita i colpi di batteria. Le tipe non sembrano molto impressionate. Poi una si alza, si mette davanti al tipo,  appoggia all'indietro la sua testa sulle spalle di lui, che arretra, si gratta un braccio dietro la schiena e nel farlo gratta anche un po' la mia pancia. Che palle, penso. La testa della ragazza, da quella strana posizione, sembra un po' la testa di un animale e un po' il profilo del monte Soratte e mi fa uno schifo. Poi lui si gira e le infila la lingua in bocca e mi ricorda il mio gatto quando beve. Poi lei si alza, si risiede sul divano e lui si gratta di nuovo il braccio e mi gratta di nuovo la pancia, allora io non ce la faccio più e prima che possa mettergli le mani al collo e stringere forte sfodero il mio miglior sorriso e la mia voce più gentile e con estrema educazione gli chiedo di spostarsi un pochino più avanti perché tanto lo spazio per farlo c'è. Allora lui si sposta in avanti restituendomi i miei vitali 5 centimetri di salvezza che mi aveva sottratto in un momento di entusiasmo. E io penso che sono veramente una rompicoglioni e che non mi sto concentrando sul motivo per cui sono qui (lì) in quel preciso momento allora vaffanculo mi lascio trasportare un po' dal modo in cui la voce sognante e filtrata del cantante si mescola con i suoni freddi e digitali della Roland, appena percettibile sotto il muro di chitarre. 
Adesso che la mia interiorità, o quel che è, si è nuovamente pacificata riesco a percepirlo. E ricordo: quell'odore di thè bianco leggermente muschiato che avevo imparato a riconoscere come casa amicizia sicurezza tanto tempo fa. Un odore leggero ma persistente, veramente inconfondibile. Non lo sento da anni, ormai, e le parole del cantante mi suggestionano e mi ricordo di aver ricordato quel profumo alcune volte in momenti molto particolari - momenti di assenza e solitudine - e aver pensato: Mioddio, mi starò mica innamorando? 
E se lui fosse qui? Potrei parlarci, sistemare alcune cose, chiarirne altre. Potrei salvare un milite ignoto del mio passato dall'anonimato, perché in fondo ciò che conta è proprio questo: non perdersi niente, far sì che ognuno lasci una traccia, insegni qualcosa. Non più odio e rancore, ma serenità, pace con me stessa, remissione degli antichi peccati. Camminare su un percorso di luce. 
Nel frattempo il quinto incomodo se n'è andato, non riusciva a intavolare uno straccio di conversazione con le due copiette, una sul divanetto a limonare, l'altra divisa tra una metà seduta annoiata e svaccata, l'altra sudata, saltellante e decisamente entusiasta. Attraverso la luce dei riflettori e i flash degli Iphone riesco a scorgere le goccioline di sudore sulla sua fronte, mentre agita ritmicamente la testa a destra e poi a sinistra, muove le gambe, fa su e giù. Ed effettivamente fa davvero molto caldo, e mi chiedo per quale cazzo di motivo qualcuno andrebbe ad un concerto per chiacchierare o stare su un divano, o addirittura per quale recondita ragione un qualche organizzatore potrebbe ritenere una buona idea mettere dei divani lungo la parete di una stanza da concerto - probabilmente per lo stesso motivo per cui tutte le persone che esistono al mondo respirano con il preciso intento di volere, violare, pretendere, depredare, strappare, bruciare, scuoiare, divorare, ingurgitare, digerire, vomitare, contaminare, smembrare e disperdere, così, tanto per, perché non abbiamo un cazzo di meglio da fare e niente per cui morire e perché alla fine è bello e ci va.
L'odore di thè bianco muschiato e idee sublimi e buoni propositi e ricordi confortevoli e bei vecchi tempi passati per non tornare mai più si è gradualmente subissato sotto una puzza di ascelle e sudore e merda umana micidiale e allora mi chiedo, mentre inizia la mia canzone preferita del gruppo (che tra l'altro live è molto ma molto più bella che su disco), per quale motivo dovrei voler far pace con una persona così spregevole, così meschina, così moralmente abietta e intellettualmente insufficiente e così incapace di stare al mondo da non essere nemmeno in grado di investire, giustamente, in un vero profumo piuttosto che comprare una scadente colonia da supermercato da quattro soldi? E no, non vorrei che fosse qui. Non vorrei che ci fosse mai stato, a dirla tutta, non credo di aver imparato proprio niente. Ricordo ogni spregevole sintomo di quanto fossi in errore, ogni segno che non ho colto, ogni mancanza su cui ho sorvolato. E no, non ci sono bei vecchi tempi in onore di cui brindare nostalgicamente e dire "alla fin fine siamo stati bene". I bei vecchi tempi sono qui e adesso e il mio rancore è l'unica cosa sublime, in questa stanza, è freddo e digitale e riposa sui tasti bianchi di una vecchia Roland.

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