giovedì 7 giugno 2012

Sorrisi e altre cose brutte.

Oggi, dopo aver vanamente rincorso libri-fantasma alla Biblioteca Nazionale, aver lavorato, aver studiato, mi sono finalmente afflosciata su un palo rosso all'interno di un anonimo bus delle 7 p.m. L'ho fatto con la grazia che può essere rimasta dopo una giornata di dodici ore consapevolmente inutile, quindi poca. La signora seduta di fronte a me si è girata, aveva gli occhi color ghiaccio, e mi ha sorriso. E io le ho sorriso indietro. Saranno stati cinque secondi scarsi, ma così lunghi. E poi l'acutezza delle lenti a contatto, a cui non sono ancora abituata, mi ha fatto mettere a fuoco una specie di verruca sulla sua mano. Ho provato disgusto: era bianco-giallastra, rialzata, come una dorsale appenninica si sollevava prepotente tra i bordi frastagliati, grigia. Intorno del rossore. Se solo non mi venissero emicranie letalmente dolorose, io preferirei non metterle, le lenti a contatto. Mi piace quell'aria vaga - "vago" è un aggettivo ambiguamente carico di storia.
Mi sono sentita dello stesso colore che credo abbia assunto lo spirito di quella mia amica un po' cosmopolita quella volta che, stavamo parlando di fronte a un caffè e un pacchetto di pillole di nonsoché - se solo lo spirito avesse colore.
Ma non mi racconti mai niente.
Non c'è niente da raccontare.
Uomini, sesso?
Niente.
Ma come?
Boh, noia, disgusto.
Tu sbagli, ti condanni a questo grigiore perché non hai ambizione. Frequenti ancora quei ragazzini, quando dovresti cercarti dei trentenni.
Ma non è una questione di età, non credo...

Vaglielo a spiegare che i trentenni in Italia non esistono più. Tra l'altro. E che quasi tutte le escrescenze del corpo umano mi fanno schifo.

Cosa sono quelle pastiglie?
Acidgjlòskhgoruilsgj.
Ok, ne prendo un po'...
Male non fanno.
Ciao.
Ciao.







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